Anfiteatro campano

28 gennaio 2024

Monti Tifatini
Area archeologica dell’antica Capua e basilica  di Sant’ Angelo in Formis

Direttori
Paola Bagnoli – 328.9548329
ASE Michelino Barricella – 328.3270168
Tipologia di percorso
Anello
Difficoltà
T (turistica)
Dislivello
irrilevante
Durata
4:00 ore (incluse le visite)
Lunghezza
circa 2,5 km

Scheda tecnica (PDF)

Appuntamenti

ore 08.30

Appuntamento a Benevento in via Gabriele D’Annunzio (coordinate GPS: N 41.128128, E 14.793585) e partenza con autobus GT Santa Maria Capua Vetere, Km 65 – circa 80 minuti.

ore 10.00

Raduno a Santa Maria Capua Vetere in Piazza Adriano (Coordinate GPS  : N 41.080489, E 14.253026) e inizio gita (visita  del Museo archeologico campano, via Appia ed Arco di  Adriano  e successivamente dell’Anfiteatro Campano e del Museo dei Gladiatori).

ore 13.00

Pausa pranzo.

ore 15.00

Trasferimento in autobus a S. Angelo in Formis e raduno in Via Luigi Baia c/o piazzetta della Rimembranza (Coordinate GPS  : N 41.117228, E 14.260423) , Km 5,5 – circa 15 minuti e visita della Basilica benedettina.

ore 16.30

Orario presunto di termine della visita e rientro a Benevento.

Itinerario

Piazza Adriano, Corso Aldo Moro, Via Roberto D’Angiò – Museo Archeologico Campano, Via Morelli, Via Anfiteatro, Corso Aldo Moro – Via Appia ed Arco di Adriano, Piazza Adriano – Anfiteatro Campano e Museo dei gladiatori. 

Equipaggiamento

Scarpe comode, abbigliamento a strati adatto alla stagione,  cappello, giacca a vento o mantellina antipioggia, colazione a sacco, acqua.

Partecipazione e costi

L’escursione è aperta ai soli soci CAI fino ad un massimo di 50 partecipanti. È data precedenza ai soci iscritti alla sezione di Benevento; le prenotazioni da parte di iscritti ad altre sezioni CAI saranno accettate con riserva e perfezionate in base all’ordine di prenotazione ed ai posti disponibili. Se il numero di partecipanti dovesse essere inferiore a 30 l il trasferimento sarà organizzato con auto proprie.

La quota di partecipazione è di 20 euro a persona, comprensiva del costo dell’autobus (potrebbe subire variazioni in funzione del numero di partecipanti), e degli ingressi all’area archeologica ed alla Basilica di Sant’Angelo in Formis.

Le prenotazioni, con versamento dell’intera quota di partecipazione, devono pervenire entro e non oltre martedì 23 gennaio. Il pagamento può essere effettuato in contanti presso la sede della sezione oppure tramite bonifico bancario sull’IBAN IT70L0855315000019000360675 intestato a: Club Alpino Italiano – Sezione di Benevento.

Per prenotarsi è necessario contattare esclusivamente uno dei direttori dell’escursione. Le prenotazioni saranno accettate in rigoroso ordine cronologico fino al termine della disponibilità di posti.

La partecipazione all’escursione implica la conoscenza integrale e l’accettazione incondizionata del programma dell’attività, come presentato nella scheda di escursione, e delle norme del “Regolamento di partecipazione alle attività Sociali”  del C.A.I. di Benevento, disponibile all’indirizzo https://bit.ly/3wq5Ilo. 

Avvertenze

a) I Direttori di escursione si riservano di modificare in tutto o in parte l’itinerario in caso di necessità.

b) I Direttori per la loro responsabilità si riservano di escludere dalla propria escursione i partecipanti non adeguatamente attrezzati e allenati.

Per info e adesioni contattare

Paola Bagnoli – 328.9548329
Michelino Barricella – 328.3270168

Descrizione dell’itinerario

Il nostro itinerario parte dalla Visita del Museo archeologico campano, raggiungibile a piedi e poco distante dall’area di parcheggio in prossimità dell’Anfiteatro prevista come luogo di incontro.  Dopo la visita al Museo ed al complesso che lo ospita, si tornerà indietro per ammirare l’Arco di Adriano e soffermarsi sull’importanza della Via Appia che in questo punto entrava in città. Dall’Arco ci sposteremo all’area archeologica dell’Anfiteatro, con la visita delle evidenze relative ad un ninfeo, all’anfiteatro più antico e a quello adrianeo. Visiteremo i sotterranei dell’anfiteatro e poi l’annesso Museo dei gladiatori. L’area archeologica è fornita di servizi ed anche di un attrezzato bar ristorante. Seguirà la pausa pranzo, in cui ognuno avrà la possibilità di girare per la città e di sostare per rifocillarsi. In prossimità dell’anfiteatro ci sono ampi spazi verdi, attrezzati anche con panchine. Alle 15 appuntamento per dirigersi alla volta di Sant’Angelo in Formis e visitare la basilica e ammirare il Monte Tifata dove  ci sono i ruderi del tempio di Giove Tifatino scoperto fortuitamente nel 1995 grazie al rinvenimento di tre lamine bronzee che riportavano dediche a Giove, era già indicato graficamente sulla Tavola Peutingeriana e in modo ancora più preciso su una mappa del 1700 con tanto di esatta collocazione topografica. Infatti esso si trova sulla cima verso Est di questo monte che sovrasta l’odierna Santa Maria Capua Vetere che fu la vecchia e originale Capua.

Cenni storici:

L’odierna Santa Maria Capua Vetere, è una città dalla storia antichissima. Le tracce archeologiche ritrovate ci riconducono fino agli insediamenti preistorici risalenti al IX secolo a.C. all’età del ferro e alla civiltà villanoviana. La prima fase di sviluppo urbano di Capua è legata alla presenza etrusca, tra il V e il IV secolo a.C. Successivamente divenne territorio degli Osci, che ampliarono i confini della città e rafforzarono la sua posizione di potere all’interno dell’area campana: Capua divenne capo di una lega di città locali, e si ipotizza che fosse tra le più grandi città di Italia nel IV secolo, quando entrò a far parte per un breve periodo dell’orbita Sannita, per poi passare all’influenza romana nel 338 a.C. come civitas sine suffragio. L’interesse intorno a Capua era dovuto soprattutto alla sua estensione territoriale, urbana e agraria, che ne influenzò le alterne vicissitudini nell’era d’influenza romana della città. Capua fu scelta da Annibale come uno dei suoi avamposti durante la seconda guerra punica, e la fase tra il 216 e il 211 nota come gli ozi capuani, corrisponde a un’occupazione militare cartaginese determinante per gli sviluppi successivi della guerra. La collaborazione della città con i cartaginesi costò alla popolazione forti ritorsioni da parte di Roma che riformò la classe dirigente di Capua e sottrasse molte terre ai cittadini e annettendole come proprietà di Roma secondo varie formule. Anche sotto la dominazione romana, la città fu fiorente dal punto di vista della produzione, il massimo splendore della città si colloca nel periodo repubblicano. In particolare nel I secolo a.C. il prestigio di Capua era così elevato che fu definita da Cicerone altera Roma (ovvero seconda Roma). Uno degli eventi storici più noti legati alla città di Capua, risale proprio a questo periodo ed è la rivolta dei gladiatori del 73 a.C. guidata da Spartaco che diede inizio alla terza guerra servile, conclusasi con la vittoria dell’esercito romano guidato da Crasso e la crocefissione dei ribelli superstiti lungo la strada tra Capua e Roma.

Con l’impero la città perse importanza, soprattutto dopo la costruzione della via Domitiana che non passava per la città e dunque limitò le sue potenzialità commerciali. Ci fu però una parentesi di ripresa economica che coincise con la fase di ristrutturazione promossa da Adriano, a cui si deve un arco trionfale e l’anfiteatro, secondo al solo al Colosseo per dimensioni. Nella tarda età imperiale fu uno dei centri dove il cristianesimo ebbe più veloce affermazione, e divenne sede vescovile, ma con la caduta dell’impero d’occidente fu in parte devastata e soggetta alle invasioni barbariche, trasformandosi definitivamente con l’occupazione degli Ostrogoti e poi con la conquista Longobarda.

Il Museo archeologico dell’antica Capua

è ospitato in un edificio storico della metà dell’800, originariamente sede di una Caserma di Cavalleria. L’immobile fu costruito inglobando la torre di Sant’Erasmo, dove nel 1278 nacque Roberto d’Angiò e dove fu ospitato il papa Bonifacio VII. La Torre si era a sua volta insediata sui resti del Capitolium, collocato nella parte meridionale dell’antico Foro. Il complesso museale ospita il museo – inaugurato nel 1995 – i laboratori di restauro, la ludoteca museale, sale espositive, sale conferenza, i depositi e gli uffici di direzione. L’edificio, in muratura tufacea con copertura lignea a falde, si sviluppa prevalentemente intorno ad un cortile, di forma quadrata, ampio circa 2800 mq, con un giardino centrale, anch’esso un ‘museo a cielo aperto’ con frammenti lapidei, sarcofagi e un imponente mosaico a tema marino riferibile ad un grande impianto termale ubicato non lontano dal Foro della città.  Il patrimonio archeologico attualmente esposto si è costituito a partire dagli anni ‘80 del Novecento, grazie agli scavi effettuati sul territorio che, attraverso l’esplorazione di necropoli, spazi urbani, aree sacre oltre che dell’Anfiteatro campano, hanno gettato le fondamenta per la moderna conoscenza della Capua antica e si pone in continuità con il Museo provinciale campano di Capua, fondato nel 1870 e inaugurato nel 1874, che accoglie la maggior parte dei reperti provenienti dal Santuario di Fondo Patturelli, in particolare la straordinaria collezione delle famose statue in tufo, conosciute come le matres di Capua.

Nel 2022 è stata inaugurato un nuovo percorso museale, realizzato con la mostra permanente dal titolo “I Segni del Paesaggio: L’Appia e Capua”, che segna l’avvio della sezione romana del Museo. La mostra espone 100 opere conservate dalla metà del secolo scorso e, in alcuni casi anche dall’inizio del secolo, molte delle quali mai esposte prima e presentate ora al pubblico per la prima volta: ritratti e imponenti statue in marmo, sculture, affreschi, pavimenti musivi, sepolture, cippi miliari e iscrizioni che rappresentano i testimoni parlanti dell’Appia lungo il suo cammino nella Capua romana. 

Il Mitreo di Santa Maria Capua Vetere, datato alla fine del I sec. d.C., è ritenuto il più antico d’Occidente e uno dei più importanti luoghi mitraici. Il culto solare di origine indo-persiana penetra in Campania attraverso schiavi e mercanti giunti dal porto di Delo a Puteoli (Pozzuoli). In Occidente il culto assume caratteri misterici e si diffonde tra il II e III sec. d.C., soprattutto tra militari, schiavi e gladiatori. A Capua, sede di una delle più note scuole gladiatorie, si diffonde precocemente; significativa infatti è la presenza di Mitra tra le divinità delle chiavi d’arco dell’anfiteatro. Scoperto nel 1922 e visitabile dal 1937, il Mitreo è accessibile da un edificio a torretta da cui si scende negli ambienti sotterranei che rievocano la grotta in cui Mitra nasce ed imprigiona il Toro. Attraverso un oscuro vestibolo si entra nella suggestiva sala di culto, dove lo sguardo è catturato dalla straordinaria megalografia con la scena del sacrificio del toro (tauroctonia) e dalla volta stellata di copertura. L’atmosfera del luogo rende il Mitreo il luogo più affascinante del circuito archeologico dell’antica Capua.

L’arco di Adriano (detto anche “archi di Capua” o “arco Felice”) è un arco romano in origine a tre fornici, ma oggi se ne conservano solo tre piloni e uno dei fornici laterali. Scavalcava la via Appia e costituiva un ideale ingresso alla città, forse in corrispondenza della linea del pomerio. L’arco fu eretto tra la seconda metà del I e la prima metà del II secolo, ma se ne ignora la dedica. All’arco era stata riferita un’iscrizione con dedica all’imperatore Adriano, poi ritenuta falsa.

È stato ipotizzato che l’erezione dell’arco sia avvenuta sotto i Flavi in seguito al conferimento dello stato di colonia alla città (Colonia Flavia Augusta)[3].

Venne restaurato con integrazioni e rifacimenti della struttura laterizia nel 1851. Nel 1860 fu interessato dai combattimenti della battaglia del Volturno: una targa commemorativa, con testo dettato da Luigi Settembrini venne collocata su uno dei piloni dell’arco. In seguito ai danni subiti durante la battaglia l’arco venne restaurato dopo il 1883, e ancora e tra il 1945 e il 1953-1955 per i danni subiti nella Seconda guerra mondiale. L’arco è costruito in laterizio ed aveva originariamente un rivestimento in calcare bianco, oggi perduto. Conserva i piloni del fornice centrale (più ampio, fino all’imposta dell’arcata, e una delle arcate laterali. I resti raggiungono un’altezza di 10 m e una larghezza di 18,5 m. Sono presenti integrazioni e restauri moderni.

Le arcate sia del fornice centrale che dei fornici laterali si impostavano alla medesima altezza (6,2 m), ma quella del fornice centrale, più ampia (luce di 4,85 m controluce di 3,95 m per i fornici laterali), raggiungeva in origine un’altezza maggiore. I piloni sono rivestiti alla base da blocchi di calcare bianco e sono alleggeriti da nicchie con copertura arcuata. I fori presenti nella struttura laterizia permettono di ipotizzare la presenza di colonne che inquadravano le nicchie e dovevano sorreggere una trabeazione che correva sopra i fornici.

Sul lato interno dei piloni del passaggio centrale sono presenti delle nicchie che sono però state realizzate modernamente.

L’anfiteatro Campano, edificato a soli 25 metri dalla più antica arena (130-90 a.C.) è secondo per dimensioni solo al Colosseo (Asse maggiore mt 167×137) e ad esso ispirato, condivide con l’Anfiteatro flavio il modello architettonico e i suoi tratti distintivi: la razionalità e le caratteristiche dello schema compositivo, il gigantismo, la perfezione tecnica e l’armonia delle forme. L’Anfiteatro, costruito tra il I e il II secolo d.C. fu restaurato e ultimato con l’imperatore Adriano, come conferma un’epigrafe dedicata da Antonino Pio.  La struttura originaria era composta da quattro ordini di spalti composti da ottanta arcate di uguali dimensioni, tranne quelle poste in corrispondenza delle entrate ai quattro punti cardinali che erano enfatizzate da lesene tuscaniche. Nei primi due ordini nelle chiavi d’arco si trovavano dei busti decorativi raffiguranti divinità, dei quali alcuni sono ancora integri. Si conservano inoltre, i plutei frontali e le balaustre delle gallerie di accesso (vomitoria). Anche i perimetri concentrici della platea sono ben visibili e mostrano come fosse organizzato lo spazio interno.

Si trova associato all’anfiteatro, il museo dei Gladiatori, poiché gli spettacoli principali che vi si svolgevano erano dedicati in particolare a questa forma di intrattenimento. È composto da tre sale, dove si possono trovare diverse ricostruzioni dei combattimenti gladiatorii e della struttura originaria dell’Anfiteatro, oltre ai resti delle sue decorazioni, iscrizioni e sculture.

Abbazia di Sant’Angelo in Formis

La chiesa, dedicata a San Michele Arcangelo, sorge, a 105 metri s.l.m., lungo il declivio occidentale del monte Tifata.

Inizialmente nei documenti l’edificio è indicato come ad arcum Dianae (“presso l’arco di Diana”), ricordando che sorgeva al di sopra dei resti del tempio dedicato a Diana Tifatina, mentre successivamente ci si riferisce ad esso con le denominazioni ad FormasInformis o in Formis.

I resti del tempio romano furono rinvenuti nel 1877, e si è notato che la basilica ne ripercorre il perimetro, aggiungendo le absidi al termine delle navate. La prima costruzione della basilica si può far risalire all’epoca longobarda, sulla base dell’ampia diffusione del culto dell’arcangelo Michele presso i Longobardi alla fine del VI secolo. Al tempo del vescovo di Capua Pietro I (925938), la chiesa fu donata ai monaci di Montecassino, che volevano costruirvi un monastero. La chiesa fu poi tolta ai monaci e ridonata loro nel 1072 dal principe di CapuaRiccardo. L’allora abate Desiderio di Montecassino (il futuro papa Vittore III) decise di ricostruire la basilica (1072 – 1087) e ne rispettò ancora gli elementi architettonici di origine pagana. A lui si devono gli affreschi di scuola bizantino-campana che decorano l’interno e che costituiscono uno tra i più importanti e meglio conservati cicli pittorici dell’epoca nel sud Italia.

Al XII secolo sono stati attribuiti il rifacimento del portico antistante la chiesa, con nuovi affreschi, e una ricostruzione del campanile in seguito ad un crollo.

La facciata è preceduta da un porticato a cinque arcate ogivali, quella centrale più alta è realizzata con elementi marmorei di reimpiego. Le arcate sono sorrette da quattro fusti di colonna, due a destra in marmo cipollino e due a sinistra in granito grigio, con capitelli corinzi non pertinenti e diversi tra loro, e sorrette da altri elementi architettonici diversi riutilizzati in funzione di basi. Gli elementi di reimpiego provengono probabilmente da edifici facenti parte del santuario pagano. Alla destra della facciata il campanile: presenta il basamento costruito con blocchi di reimpiego, disposti in modo regolare e vi è inserito un fregio con decorazioni zoomorfe, mentre il secondo piano è decorato da bifore. Dal portico, a cui si accede con quattro gradini marmorei, si accede all’interno, a pianta basilicale, senza transetto, con tre navate, ciascuna delle quali termina in un’abside. Le colonne che dividono le navate, con fusti di diverse varietà di marmi e capitelli corinzi, sono ugualmente di riutilizzo da edifici di epoca romana.

28 gennaio – Area archeologica dell’antica Capua